Corpi civili di pace nella terrestrità

Corpi civili di pace - la difesa che ripudia le guerre

Contro le spese militari e l'invio di armi a Paesi in conflitto armato:

un innovativo modello di difesa, difensivo con significativa componente nonviolenta

nell'ambito del nostro principio costituzionale pacifista, da estendere all'Europa

Care amiche e cari amici,

intanto auguriamoci un buon nuovo anno di pace, anche se le premesse oggettive non sono delle migliori e bisognerà lottare molto duramente per fermare riarmi e guerre.

Vi invitiamo ad unirci a noi il 9-10-11 gennaio a Roma; 9 gennaio presidio contro il "decreto ombrello" Meloni/Crosetto & C. e 10 gennaio nostra conferenza stampa, al CESV di via Liberiana 17, ore 11:00 - 13:00,  per presentare al Parlamento europeo, che aprirà la sua sessione il 15 gennaio, una proposta agganciata al modello costituzionale di difesa sui corpi civili (CCP) e le ambasciate di pace che riprenda ed attualizzi l'idea di Alex Langer del 1994.

11 gennaio incontro sulla piattaforma per la "Rete di educazione alla Terrestrità".

È una idea giunta al 30ennale che proponiamo di aggiornare nel senso di un più stretto rapporto con l'ONU, garanzia di maggiore indipendenza di impostazione e di comportamenti dei CCP; e di inserire, da parte delle forze che si candidano alle elezioni europee del 2024, nei loro programmi elettorali per valorizzare il ruolo della società civile nel prevenire o nel gestire i conflitti tra i gruppi umani, secondo l'idea della difesa popolare nonviolenta collocata dentro il modello costituzionale di "difesa difensiva".

Un caro saluto e un augurio di buon 2024 nell'attesa di vederci direttamente in piazza (molto probabilmente al Pantheon, come il 19 dicembre 2023).

Qui sotto un testo più esteso e completo riportante la nostra proposta, che vi invitiamo a esaminare e sottoscrivere scrivendo a coordinamentodisarmisti@gmail.com ...

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I sondaggi d'opinione dimostrano con dati inequivocabili che la grande maggioranza degli italiani è per fermare le derive belliche e non per i lobbisti della difesa armata come Crosetto, ma nemmeno per Elly Schlein che invoca la diplomazia, ma vota per nuovi stanziamenti di armi.

Quella che in questo momento è un'utopia, cioè l'arresto delle guerre in atto, può e deve trovare una direzione che si concretizza indicando una meta, un metodo e interlocutori istituzionali per vertenze comuni.

Una condizione essenziale perché la diplomazia dei popoli sblocchi la diplomazia dei potenti: la crescita di un movimento, per metodo ad un tempo pacifico e militante, come dimostrato dall'esempio storico di Gandhi, emulato da Nelson Mandela in Sud Africa. Bersagli di tale militanza saranno istituzioni e persone che si oppongono agli accordi diplomatici, sia nel caso mediorientale che nel caso ucraino. Come, ad esempio, il Parlamento e il Governo dell'Italia. I mezzi dovranno sempre essere rigorosamente coerenti col fine pacifico: non soltanto manifestazioni, ma sit-in, boicottaggi, obiezioni, secondo le tecniche di cui i movimenti pacifisti storici "centenari", come WRI, IFOR, WILPF sono depositari, ma con un inquadramento strategico aggiornato, più complessivo e maturo.

Della WRI- War Resisters' international- i Disarmisti esigenti sono membri per il tramite della Lega Obiettori di Coscienza.

Nel caso della guerra russo-ucraina, in realtà scontro mascherato NATO/Russia, il punto di riferimento è la campagna "Object war", per i disertori e gli obiettori di coscienza di Russia, Bielorussia e Ucraina.

Ci auguriamo più intelligenza, oltre al tanto cuore speso, nelle mobilitazioni disarmiste, nonviolente, pacifiste per il 2024 in arrivo.

Il 9-10 gennaio a Roma un appuntamento che segnaliamo e esortiamo a non mancare è quello contro il "decreto ombrello" per gli aiuti militari all'Ucraina, di cui verrà chiesto, da parte del governo, l'approvazione parlamentare.

Il "decreto ombrello" è la norma di legge che abilita (a nostro avviso illegittimamente) la prassi dei pacchetti di aiuti mediante semplici atti amministrativi (dpcm) da comunicare solo al COPASIR perché secretati (e quindi scavalcando il Parlamento).

Le organizzazioni pacifiste, se vogliono dare corpo a un movimento incisivo e concreto, farebbero bene a non trascurarlo, come è invece purtroppo avvenuto il 19 dicembre 2023, con il presidio al Pantheon e la successiva conferenza stampa del 20 dicembre, co-organizzati dai Disarmisti esigenti & partners.

Dispiace che l'aumento delle spese militari a 29 miliardi più svariati miliardi di altre voci sia passato in parlamento praticamente con le sole contrarietà del Movimento Cinque Stelle e di AVS; e senza iniziative e presidi di protesta con presenze adeguate, eccezion fatta per la testimonianza del nostro citato "digiuno di coerenza pacifista" e di suoi partner romani, il 19 dicembre.

Quando si decidono le "cose brutte" bisogna esserci e protestare contestando chi prende le decisioni addirittura in nostro nome, in nome del popolo: invece notiamo che qui in Italia vige la singolare abitudine di manifestare prescindendo dal contesto politico istituzionale e senza cercare l'interlocuzione con governo e Parlamento.

Si scende in piazza spesso in tantissimi - all'estero ci viene invidiata la nostra massiccia capacità di mobilitazione - ma solo per esprimere sé stessi, la propria generica identità pacifista declinata nei modi più vari, non per aprire, da gruppi pacifisti convergenti, vertenze specifiche su punti unitari.

Noi crediamo che, quando si lotta, si debba tenere a mente che, per lo più, siamo cittadini di un determinato Paese e che abbiamo contribuito col voto alle istituzioni e al governo in carica. Se siamo cittadini italiani, dobbiamo quindi chiedere conto al governo italiano, membro UE, di quello che fa ed esigere che rispetti la volontà maggioritaria del popolo, al momento coincidente, per nostra fortuna, con il ripudio costituzionale della guerra.

È vero anche che, per non essere fraintesi nei nostri intenti comunicativi, dobbiamo fare i conti, anche con la percezione popolare – a nostro avviso sbagliata – dell'immigrazione come "emergenza da invasione" e non anche come opportunità di crescita in tutti i sensi.

Questo impegno meditato, organizzato, pianificato, dovrebbe prescindere dal correre emozionalmente dietro l'agenda mediatica, dall'agitazione di breve durata, magari con schemi ideologici che approfondiscono il baratro tra le avanguardie pacifiste e l'opinione pubblica più ampia che, al pari di noi, esprime anche, come si è accennato, i suoi livelli di confusione.

L'Italia va verso una ulteriore passivizzazione politica e le tendenze culturali "di destra" prendono purtroppo sempre più piede. L'alternativa della resistenza nonviolenta sulla quale puntiamo non ha spendibilità e credibilità anche a causa dei nostri errori sulla gestione del servizio civile, che ci proponiamo di rivedere criticamente facendone oggetto di azione politica.

Cerchiamo di fare la nostra parte affinché le nostre manifestazioni – repetita iuvant - non siano puro sfogo emotivo ma abbiano un senso adeguato di obiettivi e di impatto: abbiamo la responsabilità di non portare anche involontariamente acqua al mulino del crescente disprezzo della pace e dei pacifisti.

Bisogna prendere di mira strutturalmente il "sistema di guerra".

Per questo è importante non "bucare" terreni di lotta come le politiche governative sui bilanci della difesa e degli aiuti militari all'estero, funzionali all'egemonia economica, sociale e culturale dei complessi militari industriali...

Per questo è altrettanto, e forse ancor più decisivo, anche poter prospettare una idea di "difesa della Patria" (italiana, europea, di qualsiasi Paese) che non sia identificabile con la sola lotta armata organizzata in eserciti strutturati.

Questo è un principio già riconosciuto dalla legge italiana e dalla Corte costituzionale che ha definito il servizio civile alternativo un modo "equipollente" di adempiere a ciò che prescrive l'art. 52 della nostra Costituzione italiana: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".

Stavolta vi aspettiamo il 9-10 gennaio a Roma in numero più consistente; 9 gennaio presidio contro il decreto ombrello Crosetto e 10 gennaio conferenza stampa per presentare al Parlamento europeo, che aprirà la sua sessione il 15 gennaio, una proposta agganciata al modello costituzionale di difesa sui corpi civili e le ambasciate di pace che riprenda l'idea di Alex Langer del 1994.

È una idea proponiamo di aggiornare e di inserire, da parte delle forze che si candidano alle elezioni europee del 2024, nei loro programmi elettorali per valorizzare il ruolo della società civile nel prevenire o nel gestire i conflitti tra i gruppi umani, secondo l'idea della difesa popolare nonviolenta.

Anche questa proposta serve a dare forza e sostanza al nostro no alle armi e alle soluzioni militari dei conflitti, soprattutto in un contesto in cui la guerra non può mai essere considerata "giusta" (se mai lo è stata anche in passato, se si ha presente la distinzione tra "giusto" e "necessario").

Contrastare il riarmo a partire dal taglio delle spese militari e dalla necessità di bandire non solo l'uso ma anche il possesso delle armi nucleari (l'Italia aderisca al Trattato di proibizione delle armi nucleari!), proporre dei modelli di difesa non offensivi e nuclearizzati, con una forte componente nonviolenta in via di strutturazione per il tramite soprattutto del servizio civile, può servire a mettere al centro del dibattito pubblico il ripudio della guerra...


Creare i Corpi civili di pace europei sulla base dell'idea originaria di Alex Langer

Una proposta dei Disarmisti Esigenti

Creare i Corpi civili di pace europei sulla base dell'idea originaria di Alex Langer

Abbiamo una direttrice di lavoro da proporre alle forze politiche che si presentano alle elezioni europee del giugno 2024

Alla plenaria dell'europarlamento a Strasburgo, che si aprirà il 15 gennaio 2024, chiediamo la la costituzione dei Corpi civili di pace europei riprendendo l'ispirazione originaria di Alex Langer (1994), concordata con i movimenti protagonisti delle lotte di Comiso (anni 1981-1987), in particolare Alberto L'Abate e l'International Peace Camp, e maturata con i Volontari di pace in Medio Oriente, poi Berretti Bianchi (Iraq con l'ambasciata di pace a partire dal 1990) e con l'esperienza delle iniziative pacifiste contro le prime guerre nell'ex Jugoslavia.

Alberto L'Abate, scomparso nel 2017, animatore dell'IPC di Comiso, è stato il promotore del corso di laurea, primo in Italia, in "Operatori di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell'Università degli Studi di Firenze dove ha insegnato sociologia dei conflitti e ricerca per la pace. Un docente universitario che praticava la ricerca azione: la conoscenza teorica nutrita dello sdraiarsi come attivista semplice davanti ai treni contro la costruzione della centrale nucleare in Maremma o, con la moglie Anna Luisa Leonardi, ai camion contro i lavori per la base degli euromissili in Sicilia.

E', a nostro avviso, il modello del tipo di competenze e di passione ideali per il formatore-coordinatore degli strumenti di azione nonviolenta che andiamo ora a proporre: non a caso è stato promotore della Rete IPRI-CCP e, oltre all'Ambasciata di Pace a Bagdad, anche quella di Pristina, collegata alla "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione", importante esperienza di mediazione per la pacificazione di una zona appena uscita dalla guerra nell'ex-Jugoslavia.

Alexander Langer, scomparso nel 1995, lo proponiamo invece come modello di politico europeo visionario, un "obiettore etnico" impegnato a costruire ponti e non muri tra i popoli, promotore dell'ecologismo politico in Europa, con progetti anticipatori in una pluralità e complessità di aspetti. Menzioniamo, tra gli altri, gli stimoli propositivi sulle dinamiche per una integrazione europea democratica, il rapporto tra nord e sud del mondo, la situazione dei paesi dell'Europa dell'est e i problemi di convivenza nelle aree di crisi; ed infine la lotta contro la guerra e in favore della conciliazione per la quale introdusse per la prima volta, nel 1994, al Parlamento Europeo l'idea di costituire un Corpo Civile di Pace Europeo per gestire, trasformare, prevenire i conflitti senza l'uso della violenza o delle armi.

Langer, tra i fondatori dei Verdi Europei, fu anche l'autore dello storico articolo, scritto sulla rivista "La Terra vista dalla Luna" il 25 giugno 1995, poco prima di togliersi la vita nel 1995, forse perché anche posto di fronte a quello che, nelle guerre jugoslave, pativa drammaticamente come lo scacco della nonviolenza per la quale aveva lottato (dopo lo scioglimento di Lotta Continua, in cui aveva militato negli anni '60 e '70). Titolo: "L'Europa muore o rinasce a Sarajevo".

Langer aveva promosso iniziative di pace e di nonviolenza nella ex-Jugoslavia e, in particolare, in Bosnia. Nel 1991 aveva dato vita alla "Carovana europea della pace", iniziativa a cui era poi succeduto, dal 1992, il "Verona Forum per la pace e la riconciliazione". Tuttavia, dopo anni di iniziative nonviolente, e dopo che si era verificata nel maggio 1995 la strage di Tuzla e mentre continuava da oltre tre anni l'assedio serbo di Sarajevo, Langer si era convinto che non si potesse più continuare ad assistere passivamente alla tragedia bosniaca.

Per questo motivo, il 26 giugno 1995, Langer guidò una ampia delegazione di eurodeputati per recarsi in Francia, a Cannes, dove si stava svolgendo la riunione dei Capi di Stato e di governo europei, presieduta all'epoca da Jacques Chirac (da poco succeduto a Mitterrand). A nome di tutta la delegazione, Langer, presentando a Chirac l'appello sopra citato, gli chiese di promuovere un intervento militare di "polizia internazionale" per porre finalmente fine alla guerra in Bosnia e al lunghissimo assedio di Sarajevo.

Del resto, già il 6 luglio 1993, quasi due anni prima, in una intervista radiofonica, Langer aveva posto esplicitamente l'interrogativo: "Uso della forza militare internazionale nell'ex-Jugoslavia?". E in conclusione così aveva riflettuto: "La minaccia e l'effettuazione di un intervento militare hanno senso solo se non resteranno l'unico tipo di impegno internazionale: ci sarà bisogno di un forte e molteplice impegno internazionale, a cominciare da un solido e generoso programma di ricostruzione del dialogo e della democrazia".

Ecco; quando non c'è alternativa, per impedire un massacro di civili inermi aggrediti brutalmente, non si può evitare l'interposizione militare attuata con gli stivali sul terreno, non certamente con i bombardamenti "celesti" cui poi abbiamo tante volte assistito.

Langer era sempre stato un "operatore di pace e un "costruttore di ponti", ma aveva capito – dopo aver tentato tutte le iniziative di nonviolenza già ricordate – che era necessario, in certe circostanze, realizzare anche l'uso legittimo della forza, per porre fine alla guerra in forma di massacro di popolazioni.

E difatti proprio in quell'articolo si pone la domanda: perché non costituire un corpo civile di pace europeo? "Perché non trasformare (la straordinaria esperienza del volontariato pacifista) in un "corpo europeo civile di pace", adeguatamente riconosciuto ed organizzato ed assunto da parte dell'Unione europea per svolgere - sotto una precisa responsabilità politica - compiti civili di prevenzione, mitigazione e mediazione dei conflitti, attraverso opera di monitoraggio, dialogo, dispiegamento sul territorio, promozione di riconciliazione o almeno di ripresa di contatti o negoziati, ecc.? Il Parlamento europeo si è recentemente (18-5-1995) pronunciato in favore di una simile "corpo civile europeo di pace", e nulla potrebbe meglio assomigliargli che la ricca e diversificatissima esperienza del volontariato europeo per l'ex Jugoslavia, che in quasi tutti i paesi ha sviluppato straordinarie capacità, iniziative, competenza e generosità".

Questo recupero che noi Disarmisti esigenti proponiamo di un progetto visionario elaborato con il contributo di personalità profetiche collegate all'esperienza di movimenti di base - pioneristici nella sperimentazione di percorsi nonviolenti - lo sottoponiamo perché riteniamo importante per la pace mondiale un'Europa che giochi un ruolo motore della trasformazione positiva dei conflitti, sia nelle questioni interne che all'esterno dei suoi confini, nei contenziosi globali.

Proponiamo di lavorare sull'idea dei Corpi civili di pace da attualizzare, idea proposta nel 1994 da Alex Langer, allora deputato del Gruppo Verde al Parlamento europeo. L'elaborazione fu frutto, ripetiamolo e sottolineiamolo ancora, del confronto con i protagonisti nonviolenti delle lotte di Comiso, poi edificatori dell'Ambasciata di pace a Bagdad nel 1991. E del lavoro, durato anni, delle azioni dirette e della diplomazia dal basso per opporsi alla deriva bellica in cui sarebbe precipitata l'ex Jugoslavia.

La Bussola strategica europea, approvata formalmente dal Consiglio il 21 marzo 2022, prevede un esercito di cinquemila militari coordinati dall'Unione europea entro 2025. Noi ne contestiamo l'impostazione di fondo, subalterna all'orientamento NATO di attrezzarsi per guerre ad alta intensità: crediamo che un approccio più consono all'Europa che avevano in mente i fondatori politici, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, sia l'estensione del principio italiano del "ripudio della guerra". Inclusa anche la seconda parte dell'art.11 che "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni".

Al di là di questo giudizio complessivamente negativo sulla Bussola (che si propone l'aumento delle capacità militari invece del disarmo), riteniamo comunque utile e opportuna, anche nell'attuale quadro PESC, la sperimentazione di ambasciate civili di pace e di corpi civili di pace formati da giovani volontari provenienti da tutta Europa, coordinati da personale nonviolento competente nell'intervenire dove c'è un conflitto per almeno stemperarlo prima di estinguerlo; o quando finisce un conflitto e per prevenire eventuali allargamenti dei medesimi.

La nonviolenza che proponiamo deve poter disporre di autonomia strategica ed operativa e quindi essere indipendente da politiche militari e anche da questa o quella risposta o resistenza armata (gli esempi che ci vengono in mente riguardano il conflitto russo-ucraino ma anche quello israelo-palestinese).

Utili suggerimenti possono provenire dal Convegno di Gorizia-Nova Gorica "Negoziare la pace" del 30 dicembre 2023, organizzato da Pax Christi, con l'insistenza a non ammettere forma di collaborazione con le forze militari: al massimo, "può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d'azione e di ricezione presso le parti, così come evidenzierebbe il documento su "Identità e criteri degli Interventi Civili di Pace italiani", elaborato, nel 2011, dal Tavolo Interventi Civili di Pace".

Ne deriva, giustificatamente, una dichiarazione perentoria: "Sul campo, dunque, si possono attivare collaborazioni con altre realtà di società civile, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l'indipendenza e l'imparzialità della missione".

E' a questo criterio che si ispirava la sperimentazione con dei progetti precisi che avrebbe voluto promuovere il primo Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta, istituito nel 2004 in seguito alla legge 2001/64 sul servizio civile volontario, frutto delle lotte guidate dalla Lega Obiettori di coscienza, soggetto costituente dei Disarmisti esigenti. Il primo Comitato, presieduto da Antonino Drago, indicato dai movimenti nonviolenti, elaborò uno storico documento sulla difesa civile alternativa a quella militare che riteniamo una ipotesi di lavoro tuttora valida.

Una soluzione a questa esigenza di indipendenza e autonomia strategica può venire, a nostro parere, dall'inquadramento formale nella segreteria generale dell'ONU, di cui i corpi nonviolenti si porrebbero come strumenti di affiancamento nelle operazioni di peacekeeping, peacebuilding e peace-enforcing.

Si tratta di un modo di difendere la pace nel mondo anche con la forza della nonviolenza.

L'organizzazione, formata da giovani volontari che hanno scelto il servizio civile, potrebbe essere simile a quella dei volontari dei gruppi di azione gandhiani (l'esercito della pace di Narayan Desai), con un nucleo dirigente e formativo di esperti forgiati dalle lotte nonviolente.

Il Parlamento Europeo post voto di giugno potrebbe dare vita a un comitato di esperti (non puramente accademici) nominati da una assemblea delle reti pacifiste internazionali.

La sperimentazione dovrebbe avviarsi inizialmente più sul versante dell'ambasciata di pace della società civile verso un conflitto esterno alla UE.

Questi dovrebbero lavorare ad una raccomandazione da presentare a Parlamento Europeo, Commissione e Consiglio.

Si tratta di prevedere un approccio ben più complesso della difesa militare dei confini, come facilmente si evince dai passi che seguono, tratti dal testo originario di Langer.

Da Gorizia/Nova Gorica viene la proposta, che invitiamo a prendere in considerazione e recepire, di un Centro internazionale per la formazione degli operatori e delle operatrici dei Corpi Civili di Pace e per l'elaborazione di analisi e strumenti per la prevenzione della violenza e la trasformazione positiva dei conflitti.

Perché dei corpi civili di pace - di Alex Langer

L'Europa, come il mondo, è afflitta da guerre e conflitti. La maggior parte di questi non avvengono tra gli stati ma all'interno di stati o regioni. Molti di questi conflitti sono motivati da differenze etniche, repressione delle minoranze, tendenze nazionaliste, confini contestati. Quando i rifugiati abbandonano le loro terre divenute ormai dimora di guerra, nuovi conflitti insorgono nelle aeree dove questi approdano. Sempre di più alla Comunità Internazionale, ed in particolar modo alle Nazioni Unite, viene richiesto di spedire truppe per il mantenimento della pace in modo da impedire lo scatenarsi della violenza. Sebbene questo concetto si sia ormai sedimentato, le recenti esperienze militari di mantenimento della pace non hanno brillato per una serie di ragioni che non verranno però trattate in questo documento. Ci si aspetta comunque, o almeno si spera, che le molte difficoltà saranno presto superate e che il mantenimento della pace diventi un compito "ordinario" per i soldati agli ordini della Comunità Internazionale.
Organizzazione
Il Corpo civile internazionale verrebbe costituito dall'Unione europea sotto gli auspici delle Nazioni Unite ai cui servizi dovrebbero essere prestati. Il Corpo dovrebbe sottostare o almeno riferirsi all'OSCE (come organizzazione regionale delle Nazioni Unite). Gli stati membri dell'Unione europea contribuirebbero al Corpo. Il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nelle decisioni sulla costituzione del Corpo e sull'attuazione delle operazioni. In primo luogo, il Corpo presterebbe servizio all'interno dell'Europa, ma potrebbe agire anche al di fuori del continente europeo. Poiché sarebbe una forza di stanza, deve avere quartieri generali e personale pienamente equipaggiato, basato in un luogo specifico (OSCE-Vienna?) e a livello locale durante le operazioni. Per l'inizio il Corpo dovrebbe essere costituito da 1.000 persone di cui 300/400 professionisti e 600/700 volontari. Se i risultati fossero positivi si dovrebbe naturalmente espandere in modo considerevole.

NB dei DE- Rispetto a questa proposta di Langer riteniamo che il cotesto odierno spinga a privilegiare una sperimentazione in conflitti al di fuori dei confini europei…

Compiti
Prima il corpo sarà inviato nella regione, prima potrà contribuire alla prevenzione dello scoppio violento dei conflitti. In ogni fase dell'operazione potrebbe adempiere a compiti di monitoraggio. Dopo lo scoppio della violenza, esso è là per prevenire ulteriori conflitti e violenze. Nel fare ciò esso ha solo la forza del dialogo nonviolento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare. Agirà portando messaggi da una comunità all'altra. Faciliterà il dialogo all'interno della comunità al fine di far diminuire la densità della disputa. Proverà a rimuovere l'incomprensione, a promuovere i contatti nella locale società civile. Negozierà con le autorità locali e le personalità di spicco. Faciliterà il ritorno dei rifugiati, cercherà di evitare con il dialogo la distruzione delle case, il saccheggio e la persecuzione delle persone. Promuoverà l'educazione e la comunicazione tra le comunità. Combatterà contro i pregiudizi e l'odio. Incoraggerà il mutuo rispetto fra gli individui. Cercherà di restaurare la cultura dell'ascolto reciproco. E la cosa più importante: sfrutterà al massimo le capacità di coloro che nella comunità non sono implicati nel conflitto (gli anziani, le donne, i bambini). Potrebbe cercare di risolvere i conflitti con ogni mezzo d'interposizione ma non imporrà mai qualcosa alle parti. Denuncerà i fautori della violenza e dei misfatti alle autorità locali e internazionali. Denuncerà la cattiva condotta di queste autorità alla comunità internazionale. Si adopererà per allertare tempestivamente e monitorare. Costantemente cercherà di trovare ed enunciare le cause del conflitto o dei conflitti. Farà il possibile per ricostruire le strutture locali. Qualche volta, ma solo su richiesta e temporaneamente, subentrerà alle autorità e ai servizi locali. Più in particolare adempirà ai servizi non armati quotidiani di polizia nelle aree dove la polizia locale non riscuote la fiducia della popolazione. Coopererà nell'area con le organizzazioni umanitarie per provvedere ai rifornimenti e ai servizi, così come per alleviare le sofferenze delle vittime.

Quale professionalità
Poiché consideriamo il Corpo e i suoi partecipanti agire in zone ad alto potenziale di violenza, i singoli partecipanti debbono possedere molte qualità e valori eccellenti, alcuni dei quali saranno questione di talento, altri richiederanno un alto livello d'addestramento professionale.
Qualità
Molte qualità d'alto livello sono necessarie per gli individui che partecipano al Corpo di pace: tolleranza, resistenza alla provocazione, educazione alla nonviolenza, marcata personalità, esperienza nel dialogo, propensione alla democrazia, conoscenza delle lingue, cultura, apertura mentale, capacità all'ascolto, intelligenza, capacità di sopravvivere in situazioni precarie, pazienza, non troppi problemi psicologici personali. Coloro che vengono accettati a far parte del Corpo di pace apparterranno alle persone più dotate della società.
Nazionale/internazionale; uomo/donna; anziani/giovani
Il corpo di pace non dovrebbe essere costituito da contingenti nazionali ma dovrebbe essere internazionale dall'inizio con individui di diverse nazionalità che lavorano insieme come amici. Questo farebbe immediatamente superare barriere fra diverse culture. L'imparzialità è necessaria ma i partecipanti al Corpo di pace non devono assolutamente provenire solo da paesi neutrali. Dovrebbero farvi parte sia uomini sia donne e l'età dovrebbe essere tra i 20 e gli 80 anni. A differenza delle operazioni militari il lavoro del Corpo di pace potrebbe in gran parte ricadere sulle spalle degli anziani e delle donne.

Volontariato solidale
Le ONG, con un'esperienza diretta nella prevenzione dei conflitti, nella loro risoluzione e sviluppo come anche nel servizio civile, saranno le prime cui si richiede di reclutare partecipanti al Corpo di pace. Questi partecipanti potrebbero essere in larga misura obiettori di coscienza. Un ruolo può essere svolto anche dai militari peacekeeping in pensione e dai diplomatici. Particolare attenzione deve essere data ai rifugiati e agli esiliati della regione dove il conflitto dovrebbe essere gestito. Molte di queste persone sono colte e individui nonviolenti con grande conoscenza della situazione locale. D'altra parte essi sono parte del conflitto e potenziali bersagli. Essi potrebbero essere più utili nel retroterra che in prima linea a livello di consulenza e potrebbero giocare un ruolo fondamentale di supporto linguistico.
Professionisti/volontari
Poiché le qualità e l'esperienza determinano il successo o il fallimento di qualsiasi operazione, almeno un terzo dei partecipanti di ciascuna operazione del corpo di pace consisterebbe di professionisti. Gli altri possono essere volontari e lavoreranno sotto l'autorità di professionisti.
Addestramento
Il successo e il fallimento saranno anche determinati dal grado d'addestramento delle persone del Corpo di pace. Programmi d'addestramento prepareranno ciascun partecipante alla sua missione. Allo stesso tempo gli educatori dovrebbero avere la possibilità d'essere stagiairs in missioni per acquistare esperienza sul campo. L'addestramento includerà la crescita della forza e della mentalità personale ma anche cose pratiche come la lingua, la storia, le religioni, le tradizioni e la sensibilità delle regioni dove si va ad operare.

Come preparare le operazioni dei CCP
Le condizioni per le operazioni dei Corpi civili di pace sono fondamentalmente le stesse di quelle del peacekeeping militare: l'intervento deve essere richiesto dalle parti ed essere svolto in modo imparziale.

I Corpi di pace possono funzionare solo finché le parti in conflitto chiedono una loro presenza nella loro regione. A nessuna delle parti deve essere permesso di usarli per le loro proprie manovre tattiche e la propria propaganda. Ma mentre il peacekeeping potrebbe esigere un peace-enforcing, i Corpi di pace possono solo provare a convincere con la negoziazione. Su quest'aspetto è necessario raccogliere ancora esperienze.

In caso di conflitto il Consiglio Europeo, il Segretariato Generale dell'ONU e/o l'OCSE può convincere le parti a richiedere l'intervento dei Corpi civili di pace. Una volta fatta questa richiesta, l'organizzazione internazionale può negoziare le condizioni di base, il tipo di mandato, il suo periodo e il finanziamento. E infine, ma non meno importante, devono decidere chi avrà il comando delle operazioni. Dato che non vi è ancora una struttura preposta all'interno dell'Unione Europea l'intervento deve essere affidato all'OCSE, mentre le operazioni al di fuori dell'Europa devono ricadere direttamente sotto la responsabilità delle Nazioni Unite.

Finanziamento
Prevenire un conflitto è costoso, ma risolverlo una volta permesso che esploda è ancora più costoso. Un Corpo civile di pace da inviare sul campo dopo che è esploso il conflitto deve essere adeguatamente finanziato. Senza fondi non si può fare niente. Ciò significa linee di budget per stipendi e per costi di funzionamento. Significa anche compensi per servizi in situazioni pericolose. Può anche significare costi per rimpatri, per partecipanti feriti o uccisi, e compensi per i danni che lasciano dietro. L'Unione Europea avrà il compito di stabilire linee di budget stabili per questo scopo. Deve essere tenuta in considerazione la possibilità di finanziare progetti pilota affidati a delle ONG. D'altra parte è facilmente immaginabile che un'operazione di un Corpo civile di pace sia molto più economica di qualsiasi coinvolgimento militare.

Le relazioni con i militari
I membri dei Corpi civili di pace avranno bisogno di protezione. Nella maggior parte dei casi i peacekeeper militari potranno essere presenti sul campo per questo scopo. Dato che tra la cultura militare e quella dei civili non c'è naturale rispetto e reciproca comprensione, bisognerà dedicare molta attenzione e formazione per raggiungere questo scopo. I corpi civili e i peacekeeper devono lavorare insieme a tutti i livelli e ciò richiede formazione ed esperienza.

Conclusione
Un'operazione del Corpo di pace può fallire e nessuno si dovrebbe vergognare ad ammetterlo. Per esempio se una delle parti in guerra è determinata a continuare o accrescere il conflitto, i civili non possono fermarla. Se il conflitto si trasforma in una vera guerra, i civili farebbero meglio a fuggire dal campo di battaglia. Se fanatici delle due parti non sono più sotto il controllo dell'autorità locale e cominciano a sparare contro i partecipanti del Corpo di pace o a prenderli in ostaggio, ciò sarà la fine delle operazioni. Se i media locali, influenzati dai demagoghi locali, intraprendono campagne di sfiducia verso il Corpo di pace, è meglio ritirarsi. Ma fintanto questo non si verificherà il Corpo civile di pace potrà adempiere la sua funzione fino a quando sarà necessario. Il problema è qui lo stesso del peacekeeping militare. Finché non c'è alcuna soluzione politica, il Corpo di pace non può veramente partire. È essenziale che la cooperazione delle autorità locali e le comunità dovrebbe essere promossa da una politica internazionale di premio (e non da punizioni/sanzioni). Poiché la povertà, il sottosviluppo economico e la mancanza di sovrastrutture quasi sempre sono parte di qualsiasi conflitto, la preparazione a vivere insieme, a ristabilire il dialogo politico e i valori umani, a fermare i combattimenti e la violenza dovrebbero essere premiati da un immediato sostegno internazionale economico-finanziario a beneficio di tutte le comunità e regioni interessate. Troppo spesso ci si è dimenticati che la pace deve essere visibile per essere creduta. Ma se è resa vivibile la pace troverà molti sostenitori in ogni popolazione


Un documento del Movimento Cinque Stelle: una proposta per il programma per le elezioni europee

Per la costituzione di Corpi Civili di Pace Europei

Premessa: La guerra dal 1945 in poi non ha mai finito di essere utilizzata in varie parti del mondo come strumento per la risoluzione dei conflitti internazionali, con il carico di vittime, sofferenza, distruzione, catena di odio intergenerazionale che si porta appresso. Come dimostrano anche i drammatici conflitti bellici tra Russia e Ucraina e tra Israele e Palestina il numero di vittime civili è in aumento esponenziale e questa è una caratteristica di tutte le guerre. Eppure l'ONU era nata nel 1945 proprio con l'obiettivo di sradicare la guerra dallo scenario internazionale e creare relazioni amichevoli tra i popoli dopo la tragedia della II guerra mondiale che avrebbe dovuto essere l'ultimo conflitto armato a coinvolgere e sconvolgere i popoli. La lezione come sappiamo non è stata imparata e le spese militari oramai ammontano a cifre spaventose a discapito di energie umane e finanziarie che dovrebbero essere impiegate nella lotta alla povertà, al degrado ambientale, al riscaldamento globale, alla fame e alle malattie. E come ben sappiamo la guerra non risolve praticamente mai i problemi anzi li peggiora, non fosse altro che per il carico di odio che oltrepassa le barriere generazionali. Possiamo accettare che in conflitti non siano eliminabili ma ciò che è sicuramente possibile è rifiutarsi di considerare la guerra come unico strumento di risoluzione dei conflitti. A questo proposito, come sappiamo, la Costituzione italiana, una delle più avanzate al mondo ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. La difesa civile, non armata e nonviolenta: L'alternativa esiste e consiste nella difesa civile, non armata e nonviolenta. Numerosi sono gli studi e le elaborazioni teoriche ma non mancano nemmeno le applicazioni pratiche, in alcuni casi vittoriosi come nell'indipendenza dall'impero britannico conquistata dall'India di Gandhi o del popolo danese contro i nazisti e che in altri casi sono riusciti comunque a evitare morte e distruzione come nei casi della resistenza della popolazione di Praga all'invasione sovietica nel 1968, per limitarsi ai casi più conosciuti. Le tecniche della difesa civile, non armata e nonviolenta, sono svariate e collaudate: sciopero, volantinaggio, digiuno, sabotaggio, boicottaggio, non collaborazione, resistenza passiva, samizdat, magnitizdat, disobbedienza civile, dialogo. Anche nell'Ucraina invasa dalla Russia nei primi giorni della guerra sono state documentate più di 150 iniziative di resistenza nonviolenta agli invasori, tutte iniziative improvvisate e spontanee che comunque in alcuni casi hanno avuto successo e non hanno comunque provocato una reazione violenta da parte degli avversari. E' utile a tale proposito sottolineare che ovviamente anche la difesa nonviolenta deve essere preparata e organizzata per avere maggiori possibilità di successo. In tale direzione va questa proposta che dovrebbe contribuire a realizzare in ambito europeo l'obiettivo di evitare il ricorso alla guerra nelle controversie internazionali ed elaborare un approccio differente alla difesa dell'Unione. A dimostrazione dell'efficacia della difesa civile, non armata e nonviolenta si cita il recente libro della ricercatrice americana Erica Chenowet "Come risolvere i conflitti". La ricercatrice ha studiato i conflitti nel mondo negli ultimi 100 anni dimostrando la superiore efficacia della difesa nonviolenta rispetto a quella armata. La proposta: E' venuto il momento, dopo 30 anni di riprendere la proposta dell'europarlamentare Alex Langer. Davanti alla tragica e pericolosissima situazione internazionale è divenuta ineludibile la necessità non solo di opporsi in sede di parlamento nazionale ed europeo alla guerra e alla corsa al riarmo ma anche mettere in campo iniziative concrete per la difesa e la risoluzione dei conflitti. Per questo si propone di concretizzare in ambito europeo i Corpi Civili di Pace Europei. Una proposta di legge è in corso di elaborazione nell'ambito del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (MEAN) ma si allega anche il testo dell'idea originaria di Alex Langer negli anni 90. L'obiettivo è la creazione di una organizzazione che sia in grado di intervenire in modo efficace nella prevenzione dei conflitti ma anche durante e dopo la fine del conflitto evitando il ricorso alle armi e alla violenza. Si propone di inserire la proposta di creazione dei Corpi Civili di Pace Europei (CCPE) nel programma elettorale del Movimento 5 Stelle per le elezioni europee.

Il documento finale del Convegno Negoziare la Pace promosso da Pax Christi il 30 dicembre scorso a Gorizia.

lunedì 1 gennaio 2024

Riprendiamo e rilanciamo l'esperienza dei Corpi Civili di Pace.

Documento a conclusione della prima giornata del Convegno di Gorizia/Nova Gorica "Negoziare la Pace" (30 dicembre 2023) appuntamento di fine anno di Pax Christi Italia con il Comitato permanente per la Pace di Gorizia e Nova Gorica.

I Corpi Civili di Pace rappresentano una proposta complessiva di società civile per la prevenzione e il contrasto della guerra, per la concretizzazione della diplomazia dei popoli, per la promozione e la costruzione della pace. Essi ereditano e fanno propria una lunga tradizione di pensiero e di pratiche di società civile e movimenti popolari per la pace, i diritti umani e la nonviolenza, dalle Shanti Sena di ispirazione gandhiana alle World Peace Brigades, dai Caschi Bianchi alla promessa, ispirata da Alex Langer e altri/altre, di Corpi Civili di Pace Europei. Ad essi fanno riferimento documenti ed esperienze capaci di ispirare i percorsi del nostro tempo: a partire dalla Agenda per la Pace (1992) del Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros- Ghali con le definizioni di peace-keeping, peace-making, peace-building e diplomazia preventiva, e quindi le numerose e ricchissime esperienze di interposizione e di mediazione di pace della società civile, dalle marce per la pace nella ex Jugoslavia alle esperienze di interposizione nonviolenta nei conflitti, dall'esperienza delle Ambasciate di Pace in zona di confitto, in particolare in Iraq e in Kosovo, alle più recenti sperimentazioni per Corpi Civili di Pace. I Corpi Civili di Pace sono infatti un potente strumento di impegno civile, non armato e nonviolento, "sui" e "nei" conflitti: uno strumento per agire "sui" conflitti, per studiarli e interpretarli, comprenderne le moderne modalità di articolazione, e per intervenire "nei" conflitti, per contenerne la dinamica, impedirne l'escalazione, prevenirne l'insorgenza, avviarne la trasformazione, superarli nel senso della costruzione della pace. Come le organizzazioni di società civile hanno più volte sperimentato nei loro progetti, non solo l'intervento si svolge nel quadro di una progettazione condivisa, in tutte le sue fasi, con gli operatori e le operatrici locali, ma può concretizzarsi solo su «richiesta leggibile» da parte degli operatori e delle operatrici dei contesti di destinazione, che attivano e concretizzano, quindi, la richiesta di un intervento che avvenga a supporto degli attori di pace locali nel loro impegno per la de-escalazione, per i diritti umani e per la costruzione della pace. In coerenza con queste premesse, i Corpi Civili di Pace possono sviluppare, in ambito civile, relazioni di collaborazione con altre organizzazioni di società civile purché queste abbiano scelto una modalità di azione sinceramente ispirata ai valori della pace e dei diritti umani, mostrando, al tempo stesso, una potenzialità di impatto positivo sul conflitto, ai fini della sua gestione, soluzione e trasformazione nonviolenta. Viceversa, per quanto concerne l'ambito militare, «con attori armati - regolari e non regolari - non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d'azione e di ricezione presso le parti», così come evidenzia il documento su "Identità e criteri degli Interventi Civili di Pace italiani", elaborato, nel 2011, dal Tavolo Interventi Civili di Pace. Sul campo, dunque, si possono attivare collaborazioni con altre realtà di società civile, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l'indipendenza e l'imparzialità della missione. Come tante volte le realtà di società civile hanno saputo concretizzare nelle loro attività e nei loro progetti di prevenzione della violenza e di costruzione della pace, si tratta di essere, quanto più possibile, «neutrali rispetto alle parti in conflitto, ma mai neutrali di fronte alle grandi violazioni dei diritti umani», avendo come bussola la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti umani, i principi fondativi del diritto e della giustizia internazionale, e facendo affidamento su una formazione e una preparazione solide ed efficaci. I Corpi Civili di Pace sono, infatti, una modalità di intervento civile, non armato e nonviolento, posta in essere da squadre di civili, professionisti e volontari, che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione della violenza, nella gestione e trasformazione del conflitto, nella costruzione della pace. L'impegno della società civile, nel contesto dell'attivazione di Gorizia e Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura 2025, può dunque alimentare e rinnovare la proposta di trasformare Nova Gorica con Gorizia in un vero e proprio epicentro di elaborazione e formazione per Corpi Civili di Pace e, in prospettiva e con altre realtà sulla scena nazionale e internazionale, in un vero e proprio laboratorio planetario di pace e giustizia. È più che mai opportuno, in questo senso, rilanciare un percorso, nel quadro di Gorizia e Nova Gorica Capitale Europea della Cultura, finalizzato alla costruzione di un vero e proprio «Centro internazionale di elaborazione e di formazione per Corpi Civili di Pace». Come nelle migliori esperienze sviluppate in tal senso, a partire da un forte radicamento locale, capace di veicolare consenso e partecipazione intorno ai contenuti della proposta, ci si propone di promuovere una proficua convergenza tra enti, istituzioni scientifiche e accademiche, organizzazioni e reti della società civile, per sviluppare le due direttrici di tale impegno: un Centro internazionale, basato a Gorizia e Nova Gorica, per la formazione degli operatori e delle operatrici dei Corpi Civili di Pace e per l'elaborazione di analisi e strumenti per la prevenzione della violenza e la trasformazione positiva dei conflitti.

Materiale europeo da Daniele Barbi

Trovata questa raccomandazione del Parlamento Europeo, datata 1999

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:51999IP0047&qid=1704375937771

Raccomandazione sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo

Gazzetta ufficiale n. C 150 del 28/05/1999 pag. 0164

A4-0047/99

Raccomandazione del Parlamento europeo sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo

Il Parlamento europeo,

- vista la proposta di raccomandazione al Consiglio presentata dall'on. Spencer e altri 38 deputati sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo (B4-0791/98),

- visto l'articolo J.7 del trattato sull'Unione europea,

- visto l'articolo 46, paragrafo 3 del suo regolamento,

- vista la relazione della commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa (A4-0047/99),

A. considerando che la fine della «guerra fredda» è stata caratterizzata, sia in Europa che al di fuori di essa, da un continuo aumento di conflitti intra e interstatali con crescenti implicazioni internazionali, politiche, economiche, ecologiche e militari,

B. rilevando che il carattere multiforme di questi conflitti li rende spesso difficili da capire e da gestire a causa della mancanza di adeguati concetti, strutture, metodi e strumenti,

C. considerando che la risposta militare ai conflitti internazionali deve essere spesso integrata da sforzi politici volti a riconciliare le parti belligeranti, a far cessare conflitti violenti ed a ripristinare condizioni di reciproca fiducia,

D. ritenendo che il ruolo potenziale dei civili in situazioni di conflitto deve essere ancora pienamente valutato,

E. sottolineando che esso ha approvato varie risoluzioni riguardanti l'istituzione di un Corpo di pace civile europeo (CPCE),

F. rilevando che tale iniziativa dovrebbe essere vista quale ulteriore strumento dell'Unione europea per accrescere la sua azione esterna in materia di prevenzione dei conflitti e di composizione pacifica degli stessi,

G. considerando che in nessun caso il CPCE deve essere inteso quale alternativa alle normali missioni di pace, né causare ridondanze nei confronti di organizzazioni quali l'OSCE e l'ACNUR, già attive in tale ambito, quanto piuttosto quale complemento, qualora necessario, alle azioni per la prevenzione dei conflitti di carattere militare in cooperazione con l'OSCE e l'ONU,

H. sottolineando che la prospettiva del futuro allargamento dell'Unione europea rende ulteriormente necessario e pressante riformare e rafforzare la PESC,

I. rilevando che l'Unione europea ha già maturato, per quanto riguarda la guerra nella ex Iugoslavia, un'esperienza con la Missione di monitoraggio della Comunità europea (ECMM) che potrebbe costituire un primo passo verso l'istituzione del CPCE,

J. ribadendo tuttavia che le esperienze della Missione di monitoraggio della Comunità europea (ECMM) e la missione di verifica nel Kosovo dimostrano i limiti del concetto di CPCE,

K. considerando che l'inopportuno insediamento di missioni di osservatori disarmati, che possono essere facilmente presi in ostaggio, potrebbe anche sul piano politico avere effetti indesiderati,

L. sottolineando che numerose ONG specializzate, molte delle quali dotate di una vasta e profonda esperienza, potrebbero fornire un prezioso contributo a tale progetto,

M. ribadendo che qualsiasi civile impegnato nel Corpo di pace debba essere adeguamente addestrato,

N. evitando che il CPCE diventi una struttura organizzativa ampia e rigida, tale da imporre costi elevati e improduttivi e da impedire un flessibile impiego delle risorse provenienti da varie fonti, governative e non,

1. raccomanda al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un CPCE nell'ambito di una Politica estera e di sicurezza comune più forte ed efficace;

2. raccomanda al Consiglio di vagliare la possibilità di concreti provvedimenti generatori di pace finalizzati alla mediazione ed alla promozione della fiducia fra i belligeranti, all'assistenza umanitaria, alla reintegrazione (specie tramite il disarmo e la smobilitazione), alla riabilitazione nonché alla ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani;

3. raccomanda al Consiglio di attivare una struttura minima e flessibile, al solo fine di censire e mobilitare sia le risorse delle ONG, sia quelle messe a disposizione degli Stati, e di concorrere, eventualmente, al loro coordinamento;

4. raccomanda al Consiglio di affidare all'Unità di primo allarme il compito di analizzare e di individuare casi di possibile impiego di un CPCE;

5. raccomanda al Consiglio di riferirgli in merito all'ECMM presentando una piena valutazione del ruolo di questo organismo e delle sue future prospettive nonché dei suoi limiti;

6. raccomanda al Consiglio e alla Commissione, nell'ambito di questo studio di fattibilità, di organizzare un'audizione per valutare in profondità il ruolo che le ONG hanno svolto nella soluzione pacifica dei conflitti e nella prevenzione della violenza nella ex Iugoslavia e in Caucasia;

7. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente raccomandazione al Consiglio e, per conoscenza, alla Commissione.

___________________________-

Ancora una risoluzione in linea con la raccomandazione del 1999

Testi approvati - Prevenzione dei conflitti - Giovedì 13 dicembre 2001 (europa.eu)

Risoluzione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione sulla prevenzione dei conflitti (COM(2001) 211 ) - C5-0458/2001 - 2001/2182(COS) )

Il Parlamento europeo,

- vista la comunicazione della Commissione (COM(2001) 211 - C5-0458/2001 ),

- vista la sua raccomandazione del 10 febbraio 1999 sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo(1) ,

- vista la sua risoluzione del 15 giugno 2000 sull'instaurazione di una politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa, in vista del Consiglio europeo di Feira(2) ,

- vista la sua risoluzione del 30 novembre 2000 sullo sviluppo della politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa dell'Unione europea dopo Colonia ed Helsinki(3) ,

- vista la sua risoluzione del 15 marzo 2001 sul rafforzamento delle capacità dell'Unione nella prevenzione dei conflitti e nella gestione civile delle crisi(4) ,

- vista la sua posizione del 17 gennaio 2001 sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un dispositivo di reazione rapida (COM(2000) 119 - C5-0272/2000 - 2000/0081(CNS) (5) ,

- viste le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Göteborg che ha approvato il programma dell'UE per la prevenzione dei conflitti violenti nonché la cooperazione UE-ONU nei settori della prevenzione dei conflitti e della gestione delle crisi,

- visti la decisione del Consiglio del 22 maggio 2000 che istituisce un comitato per gli aspetti civili della gestione delle crisi(6) e lo sviluppo nel corso della Presidenza svedese di obiettivi concreti per la gestione delle crisi civili in materia di polizia, Stato di diritto, amministrazione e protezione civile,

- viste le decisioni del Consiglio del 22 gennaio 2001 che istituisceono il comitato politico e di sicurezza(7) , il comitato militare dell'Unione europea(8) e lo Stato maggiore dell'Unione europea(9) , mettendo così a punto gli organi permanenti della PECSD, in particolare il CPS (comitato politico e di sicurezza), che svolgerà un ruolo centrale nella definizione di una crisi nel seguito della risposta dell'Unione europea ad essa,

- visto il regolamento (CE) n. 381/2001 del Consiglio, del 26 febbraio 2001, che istituisce il meccanismo di reazione rapida(10) ,

- visto l'articolo 47, paragrafo 1, del suo regolamento,

- visti la relazione della commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa e il parere della commissione per lo sviluppo e la cooperazione (A5-0394/2001 ),

A. considerando che questo Parlamento ha già espresso in molte posizioni ufficiali i punti principali del suo approccio sulla prevenzione dei conflitti e che la maggior parte di esse continuano ad essere valide,

B. considerando che l'entità di qualsiasi possibile conflitto nel mondo moderno evidenzia la necessità di mantenere un approccio al contempo globale ed europeo,

C. considerando che nella comunicazione della Commissione non è presente alcun riferimento all'impatto conflittuale che numerose politiche comuni dell'Unione europea potrebbero avere sull'origine e lo sviluppo dei conflitti locali in determinate regioni,

D. considerando che la proposta del Parlamento europeo, presentata alla CIG del 1996, volta ad istituire un Corpo di pace civile europeo, non è ancora stata oggetto di commenti da parte della Commissione o del Consiglio, pur essendo stata esaminata in occasione della suddetta CIG del 1996 e sostenuta da alcuni paesi,

E. considerando che la dipendenza esclusiva dalle risorse tradizionali, legata alle strategie politiche, diplomatiche o militari risulta inadeguata ai fini della prevenzione dei conflitti e che è necessario un approccio globale per la costruzione della pace, comprendente assistenza umanitaria, cooperazione allo sviluppo e politiche commerciali, estere e di sicurezza, ripristino e mantenimento della legalità interna, costruzione o ricostruzione dell'apparato amministrativo, dialogo interetnico e forme alternative di gestione dei conflitti,

F. considerando che al mondo d'oggi sicurezza e solidarietà sono sempre più spesso due facce della stessa medaglia e che pertanto nell'ambito dell'UE va accordata priorità ad un vasto programma promosso dalla comunità internazionale per l'eradicamento della povertà,

G. considerando che è essenziale sottolineare, tra gli altri, le tensioni che derivano da contrasti etnici, religiosi, ideologici ed economici, qualsiasi forma di terrorismo, la criminalità organizzata e il traffico di droga, la lotta per il controllo del commercio di materie prime e in particolare di diamanti, la mancanza di democrazia nonché il degrado dell'ambiente e le questioni relative alle acque come potenziali cause di conflitto,

H. considerando che in un periodo post-bellico tali interventi devono contribuire alla riabilitazione e alla riconciliazione con la massima partecipazione possibile di tutti gli attori della società civile, alla previsione o alla risoluzione dei conflitti con strumenti non militari, come la gestione civile delle crisi e le azioni post-belliche,

I. considerando che gli interventi tesi alla prevenzione dei conflitti devono essere coordinati a livello internazionale, corrispondenti ai bisogni delle popolazioni che vivono nell'area in conflitto, compatibili con la società civile e gli altri soggetti interessati, non violenti e non coercitivi, flessibili e pratici e, infine, capaci di contrastare le escalation di violenza a uno stadio iniziale e con tempestività,

J. considerando che, in tale settore, è quanto mai sentita la necessità di rafforzare i rapporti e il coordinamento istituzionale esistente sia con il sistema delle Nazioni Unite che a livello regionale, con particolare riferimento alle attività e agli organi dell'OSCE e del Consiglio d'Europa,

K. considerando che, al fine di assicurare l'efficacia dell'approccio dell'Unione alla prevenzione dei conflitti adottato dall'Unione, è necessario evitare il verificarsi di sovrapposizioni degli sforzi fra la Commissione e il Consiglio,

L. considerando che l'Unione europea dispone di ampie possibilità per arginare il flusso di armi verso le regioni interessate da conflitti, come previsto dal suo codice di condotta sulle esportazioni di armi e dai suoi programmi relativi alla non proliferazione di armi di piccolo calibro; rammenta in proposito la propria risoluzione del 15 marzo 2001 sulla Conferenza dell "ONU su tutti gli aspetti del commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro che avrà luogo nel luglio 2001(11) e, in particolare, il suo invito ad elaborare un codice di condotta vincolante comprendente il divieto di trasferire armi a governi ed organizzazioni extra-governative che sistematicamente violano i diritti dell'uomo o il diritto umanitario internazionale,

M. considerando che la Carta delle Nazioni Unite è un documento di valore universale e, sul piano politico e del diritto internazionale, fondamentale per garantire la sicurezza internazionale e la politica di sicurezza dell'Unione europea e dei suoi Stati membri,

1. accoglie favorevolmente la recente comunicazione della Commissione concernente la prevenzione dei conflitti, ritenendola un sostanziale passo avanti che individua come rendere più coerente e informata la politica dell'UE fissando obiettivi in materia di prevenzione dei conflitti;

2. ritiene, tuttavia, che la comunicazione non affronti adeguatamente le rigidità dell'attuale struttura a pilastri del sistema di prevenzione dei conflitti, la necessità di rafforzare la cooperazione interistituzionale e superare le politiche frammentarie impostate sui pilastri, le difficoltà di assicurare la cooperazione fra gli Stati membri, le diverse scadenze dei programmi civili e militari, la necessità di un significativo potenziamento interno della capacità e la mancanza di un reale coordinamento strategico ed operativo con le ONG e gli altri soggetti che operano nell'ambito della società civile, tanto per citare alcuni ostacoli;

3. giudica positivamente i progetti della Commissione di lavorare a stretto contatto con il Consiglio per individuare e sorvegliare le potenziali zone di conflitto; esorta entrambe le parti a utilizzare le informazioni raccolte da terzi, quali le ONG specializzate e il mondo accademico;

4. esorta la Commissione a valutare sistematicamente l'impatto delle azioni dell'UE finalizzate a prevenire i conflitti in specifiche regioni di tensione, oppure a ricorrere alla vasta gamma di studi analitici prodotti da terzi;

5. invita a rimettere in discussione la stessa struttura a due pilastri - e la conseguente incoerenza della politica estera europea - in occasione della dichiarazione di Laeken e della successiva Convenzione;

6. sottolinea che la prevenzione dei conflitti sia a lungo che a breve termine richiede un impegno e una direzione politica più forti da parte degli Stati membri, dal momento che i soli strumenti comunitari non sono sufficienti a risolvere tutte le possibili fonti di conflitto, e il rafforzamento delle delegazioni della Commissione per far sì che la prevenzione dei conflitti sia integrata in tutti i programmi dell'UE; è persuaso della necessità di incrementare il bilancio per le politiche esterne dell'UE, onde consentire all'Unione di realizzare le proprie ambizioni;

Programma UE per la prevenzione dei conflitti violenti

7. accoglie favorevolmente il programma per la prevenzione dei conflitti violenti deciso dal Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001; plaude in particolare al concetto di "cultura della prevenzione" espresso in tale programma;

8. invita le future Presidenze, la Commissione e il Segretario Generale/Alto Rappresentante a prestare maggiore attenzione alle proposte presentate dal Parlamento europeo, compresa la proposta che richiede l'istituzione di un Corpo di pace civile europeo, e a garantire che siano stanziati finanziamenti a tale scopo;

9. sottolinea la necessità di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla prevenzione dei conflitti e di fornire una formazione adeguata al personale della Commissione presso la sede centrale e presso le delegazioni in modo da poter superare gli ostacoli che possono sorgere per quanto riguarda l'integrazione a tutti i livelli della prevenzione dei conflitti;

10. si compiace della nuova posizione comune del Consiglio, del 14 maggio 2001 sulla prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti in Africa(12) e raccomanda l'adozione di un approccio analogo in ciascuna area geografica in cui si manifestano rischi di conflitto;

11. invita gli Stati membri a rispettare rigorosamente il codice di condotta sulle esportazioni di armi e ad adoperarsi per dare quanto prima a tale codice un valore vincolante;

Eventuali conseguenze negative delle politiche comuni dell'UE - Necessità di una valutazione della prevenzione dei conflitti

12. ritiene necessario assicurare che le decisioni connesse alle politiche comuni dell'Unione europea non abbiano un impatto indesiderato e perfino dannoso sui conflitti locali, alterando, se non annientando, tanto il mercato quanto l'assetto economico, sociale ed ecologico dei paesi terzi;

13. osserva, pertanto, che andrebbe esaminata con maggiore attenzione sia la proposta di rendere il concetto di prevenzione dei conflitti una tematica trasversale in tutte le politiche comuni dell'Unione europea (ambiente, commercio, agricoltura, energia, ecc.), sia la proposta di integrare maggiormente gli indicatori di conflitto e gli obiettivi relativi alla prevenzione dei conflitti, al fine di inserirla nell'attività di pianificazione dei Programmi di aiuti esterni della Comunità;

14. ritiene che si debba rivolgere attenzione alla perniciosa influenza esercitata da alcune imprese pubbliche e private in territori caratterizzati da instabilità, introducendo disposizioni legali vincolanti e sanzionatorie per quelle imprese che contribuiscono all'insorgere di conflitti;

15. propone di eseguire una "Valutazione della prevenzione dei conflitti" al momento di esaminare le principali decisioni concernenti le politiche comuni dell'Unione e di varare qualsiasi tipo di programma nei paesi terzi, allo scopo di stabilire l'eventuale impatto che tali decisioni o programmi potrebbero avere dal punto di vista della prevenzione dei conflitti;

16. sottolinea l'importanza di integrare l'analisi politica e gli obiettivi di prevenzione dei conflitti nei documenti di strategia nazionale;

17. ricorda, come ulteriore contributo alla prevenzione dei conflitti, la sua risoluzione del 15 marzo 2001 sull'assistenza e l'osservazione elettorale dell'UE in paesi terzi(13) e, in particolare, l'attenzione prestata alla necessità di completare la partecipazione dell'UE nel paese interessato mediante un appoggio duraturo e sostenibile al processo democratico;

18. ritiene che l'UE necessiti di un'adeguata struttura che preveda un'unità di reazione rapida non militare al fine di selezionare, oltre a una forza di polizia ben addestrata, tecnici ed economisti che abbiano ricevuto una formazione specifica per intervenire in tutti i settori appropriati, dalle attività di prevenzione alle operazioni tecniche;

Instaurazione di un Corpo di pace civile europeo

19. si rammarica del fatto che né la recente comunicazione della Commissione, né il Consiglio o il Consiglio europeo abbiano dato seguito alla proposta presentata dal Parlamento nella sua risoluzione del 17 maggio 1995 sul funzionamento del trattato sull'Unione europea nella prospettiva della Conferenza intergovernativa del 1996 - Attuazione e sviluppo dell'Unione(14) , e nella sua succitata raccomandazione del 10 febbraio 1999, sull'instaurazione di un Corpo di pace civile europeo;

20. ribadisce la necessità di istituire tale Corpo di pace civile europeo nel quadro del meccanismo di reazione rapida della Commisisone, cui spetterebbe il compito di coordinare a livello europeo la formazione e l'invio di specialisti civili per attuare misure pratiche per la pace, quali arbitrato, mediazione, distribuzione di informazioni imparziali, attenuazione degli effetti dei traumi e ripristino di un clima di fiducia fra i belligeranti, aiuti umanitari, reintegrazione, riabilitazione, ricostruzione, istruzione nonché monitoraggio e miglioramento della situazione dei diritti umani, comprese le relative misure di accompagnamento;

21. propone che venga prestata tutta l'attenzione alla formazione degli addetti ai controlli, dei mediatori e degli specialisti in materia di trasformazione dei conflitti; sottolinea in particolare la necessità di continuare a istituire basi di dati per mobilitare all'occorrenza professionisti e gruppi a tutte le fasi di una determinata crisi; a tale riguardo invita la Commissione e gli Stati membri a rivolgersi al governo canadese il quale ha adottato un esempio eccellente con "Canadem";

22. insiste a questo proposito affinché il Consiglio e la Commissione utilizzino in modo ottimale l'esperienza presente negli organi dell'UE; invita il Consiglio ad effettuare una piena valutazione critica del lavoro della Missione di vigilanza dell'Unione europea (EUMM) che ne evidenzi le prospettive future, le possibilità di un'azione comune efficace e flessibile degli osservatori UE con quelli di altre organizzazioni internazionali, in particolare dell'OSCE, le carenze e i possibili nuovi compiti in merito alla costituzione di un Corpo di pace civile europeo e a trasmettere tale valutazione a questo Parlamento;

23. precisa che i compiti del Corpo di pace civile europeo sarebbero di natura esclusivamente civile e finalizzati ad impedire che le situazioni di crisi degenerino in violenza, ricorrendo a tutte le risorse offerte dalla società civile;

24. sottolinea, a tale proposito, la necessità di consentire alle ONG specializzate nella prevenzione dei conflitti e nella gestione delle crisi, sia a livello internazionale che regionale, di dare il loro contributo scientifico e sociale alla prevenzione dei conflitti, se necessario e opportuno con il sostegno della Commissione;

Rafforzamento dei rapporti con le Nazioni Unite e l'OSCE

25. raccomanda la massima cooperazione con i meccanismi di prevenzione dei conflitti delle Nazioni Unite, nonché con i vari programmi e organi istituiti dall'OSCE in tale settore; rivolge un pressante invito agli Stati membri affinché si impegnino e contribuiscano ad una riforma delle Nazioni Unite, e in particolare del Consiglio di sicurezza, in senso più democratico e partecipativo;

26. si compiace delle conclusioni del Consiglio "Affari generali" presentate al Consiglio europeo di Göteborg in merito alla cooperazione UE-ONU per la prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi e raccomanda vivamente di adottare un approccio analogo, al fine di attuare le condizioni per rafforzare la cooperazione fra l'Unione europea e l'OSCE negli stessi settori;

27. raccomanda di rafforzare i rapporti di collaborazione esistenti fra le varie istituzioni e gli organi che svolgono un ruolo di prevenzione dei conflitti nell'ambito del quadro istituzionale dell'UE, e il meccanismo REACT dell'OSCE, l'Alto commissario dell'OSCE per le minoranze nazionali, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, il Rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media e il Centro di prevenzione dei conflitti dell'OSCE;

Altre iniziative

28. propone di continuare a ricorrere in modo estensivo alle conoscenze e alle competenze messe a disposizione dalla Rete universitaria di prevenzione dei conflitti ("Conflict Prevention Network" - CPN); ricorda che la CPN è stata proposta da questo Parlamento e realizzata nel corso degli ultimi cinque anni; ritiene che, in linea con il progetto originale, la CPN debba assistere non solo la Commissione ma anche il Parlamento e il Consiglio, fornendo un approccio interistituzionale coerente in vista della definizione di una politica di prevenzione dei conflitti ambiziosa e positiva; sottolinea, pertanto, la necessità che in futuro essa estenda le proprie attività, fornendo inoltre l'appoggio auspicato tramite l'attuazione ottimale delle politiche di prevenzione e il monitoraggio dei loro esiti;

29. ribadisce che la proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro costituisce un fattore cruciale per l'instabilità in tutte le regioni di crisi e invita pertanto l'UE a continuare a chiedere un efficace controllo delle esportazioni di armi, che comprenda licenze di produzione, accordi di cooperazione industriale nonché l'intermediazione nel settore delle armi; ribadisce a tal fine la necessità di rendere vincolante il codice di condotta europeo sull'esportazione di armi;

30. chiede che si presti maggiore attenzione e si consacrino maggiori risorse all'istruzione come strumento chiave per la prevenzione dei conflitti e, a tal fine, invita la Commissione a contribuire alle attività del Decennio delle Nazioni Unite per una cultura di pace e non violenza promuovendo l'introduzione nei programmi scolastici di tutto il mondo, ed in particolare nelle aree specifiche di conflitto quali i Balcani, il Medio Oriente e i Grandi Laghi, del consolidamento della pace e della formazione sulla non violenza, il rispetto reciproco e il superamento dell'odio;

31. in questa prospettiva sottolinea che occorre incoraggiare il più possibile il conferimento di poteri alle donne;

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32. chiede alla sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi degli Stati membri nonché ai Segretari generali delle Nazioni Unite e all'OSCE.

(1) GU C 150 del 28.5.1999, pag. 164.
(2) GU C 67 del 1.3.2001, pag. 283.
(3) GU C 228 del 13.8.2001, pag. 173.
(4) GU C 343 del 5.12.2001, pag. 261.
(5) GU C 262 del 18.9.2001, pag. 141.
(6) GU L 127 del 27.5.2000, pag. 1.
(7) GU L 27 del 30.1.2001, pag. 1.
(8) GU L 27 del 30.1.2001, pag. 4.
(9) GU L 27 del 30.1.2001, pag. 7.
(10) GU L 57 del 27.2.2001, pag. 5.
(11) GU C 343 del 5.12.2001, p. 311
(12) GU L 132 del 15.5.2001, pag. 3.
(13) GU C 343 del 5.12.2001, pag. 270.
(14) GU C 151 del 19.6.1995, pag. 56. 


Cosa sono i Corpi Civili di Pace per la normativa italiana vigente

dal sito delle politiche giovanili facente capo al  Ministro per lo Sport e i Giovani - Andrea Abodi

L'istituzione dei Corpi Civili di Pace rappresenta una novità quasi assoluta nel panorama europeo e mondiale, è infatti possibile rifarsi solo parzialmente ad altre esperienze.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale, che disciplina l'organizzazione del contingente di Corpi Civili di Pace, parte la sperimentazione che coinvolgerà 500 giovani.

L'istituzione in via sperimentale è relativa al triennio 2014-2016, come stabilito dall'articolo 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge finanziaria 2014).

Con la legge 230/98, in Italia, era stato istituito il Comitato di difesa civile non armata e nonviolenta, nell'ambito della legge di riforma dell'obiezione di coscienza, la cui attività è cessata il 31 dicembre 2011 (art.12, comma 20 del decreto legge 6 luglio 2012 n.95, spending review).

Nel 2011, nell'ambito del Servizio Civile Nazionale, è stato realizzato in Albania il progetto sperimentale di ricomposizione dei conflitti: "Caschi Bianchi oltre le vendette", promosso congiuntamente dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani e dal Servizio Valorizzazione del personale dell'Università di Padova, dall'Associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII, da Caritas italiana e dalla FOCSIV, in collaborazione con la Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile (CNESC). Questo progetto, unitamente ad alcune esperienze tedesche e argentine, ha rappresentato l'unica esperienza concreta di costruzione della pace in Europa.

L'intervento dei Corpi Civili di Pace sarà realizzato in vari campi di azione:

a) sostegno ai processi di democratizzazione, di mediazione e di riconciliazione;

b) sostegno alle capacità operative e tecniche della società civile locale, anche tramite l'attivazione di reti tra persone, organizzazioni e istituzioni, per la risoluzione dei conflitti;

c) monitoraggio del rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario;

d) attività umanitarie, inclusi il sostegno a profughi, sfollati e migranti, il reinserimento sociale degli ex-combattenti, la facilitazione dei rapporti tra le comunità residenti e i profughi, sfollati e migranti giunti nel medesimo territorio;

e) educazione alla pace;

f) sostegno alla popolazione civile che fronteggia emergenze ambientali, nella prevenzione e gestione dei conflitti generati da tali emergenze.

Questo modello sperimentale si propone l'obiettivo di ricercare soluzioni alternative all'uso della forza militare per la risoluzione dei conflitti. Competenze, capacità e sensibilità particolari, che non mancheranno ai giovani che sceglieranno di impegnarsi su "nuovi fronti", saranno anche sviluppate da una formazione mirata e qualificata, appositamente prevista dal decreto interministeriale.

Al via la fase sperimentale

E' ormai entrata nella fase operativa la sperimentazione di un contingente di Corpi Civili di Pace, prevista dall'articolo 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2013, n.147, da impegnare in azioni di pace non governative in aree a rischio di conflitto – ovvero già in conflitto – o in caso di emergenze ambientali. Il provvedimento ha stanziato 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 ed ha stabilito che l'organizzazione del contingente fosse disciplinata da un Decreto ministreriale.

Il decreto è stato emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in data 7 maggio 2015.

L'iniziativa ha l'obiettivo di promuovere in modo imparziale la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona e all'educazione alla pace fra i popoli.

La sperimentazione prevede complessivamente l'impiego di 500 giovani.

Il 25 maggio 2023 è stato pubblicato il terzo Bando per la selezione di 153 operatori volontari da impiegare nei progetti per i Corpi civili di pace da realizzarsi in Italia e all'estero.

In particolare:

  • 2 progetti da realizzarsi in Italia per 14 operatori volontari;
  • 26 progetti da realizzarsi all'estero per 139 operatori volontari.

Il giorno 8 marzo 2019 è stato pubblicato il secondo bando per la selezione di 130 volontari da impiegare in progetti in Italia e all'Estero.

Il 30 dicembre 2016 è stato pubblicato il primo bando per la selezione di 106 volontari da impiegare in progetti in Italia e all'Estero.

La formazione, rafforzata e specialistica, dei giovani volontari ammessi alla sperimentazione dei Corpi civili di pace è effettuata dall'ente o dall'organizzazione proponente il progetto in collaborazione o in partenariato con centri studi o di ricerca, istituti universitari o altri organismi con competenze nelle materie relative ai progetti.

Prima dell'impiego sono svolte attività di sensibilizzazione organizzate dal MAECI a cui i giovani sono tenuti a partecipare.

La tutela della sicurezza dei giovani in servizio all'estero è affidata agli enti presso i quali i giovani prestano servizio, che forniscono indicazioni in materia; indicazioni di sicurezza vengono fornite dalle rappresentanze diplomatiche o dagli uffici consolari.

E' stato costituito un apposito Comitato, presieduto dal Capo del Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio civile universale, con compiti di monitoraggio e valutazione sulla sperimentazione. Il monitoraggio dei progetti dei Corpi Civili di Pace è affidata ad un soggetto terzo ed indipendente.



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